COSTRUZIONE DEL PRESENTE E DEL POSSIBILE
Vogliamo qui pensare alla fantasia come capacità di immaginare una realtà, in particolare per creare un futuro. Prima di addentrarci a parlare di futuro, però, una premessa è necessaria: la fantasia, intesa come la creazione di una realtà immaginaria nel senso di non realmente percepita, non riguarda solo il futuro o l’ipotetico, ma la nostra concezione del presente. E non solo un presente distante da noi, ma lo stesso presente sensoriale in cui siamo immersi.
Voglio dire che tutta quella che chiamiamo la realtà intorno a noi – lo schermo del computer che vedo di fronte a me mentre scrivo questo pezzo, i tasti che schiaccio e che sento sotto le mie dita – è frutto di un atto esplicitamente creativo da parte del nostro cervello. Non si tratta di una posizione filosofica, ma banalmente biologica. Mi spiego.
Una delle lezioni che ci ha insegnato l’immenso sviluppo negli ultimi decenni delle scienze cognitive è che il nostro cervello non ha (neppure lontanamente) a disposizione le risorse necessarie per interpretare l’infinita quantità di dati che riceve, continuamente, dai nostri sensi. Ciascun occhio da solo manda così tante informazioni che anche una macchina meravigliosa, per citare Piero Angela, come il nostro cervello non è assolutamente in grado di utilizzarle; è costretto a tralasciarne gran parte. Dei pixel di fronte a me sullo schermo, il mio cervello ne “registra” attivamente soltanto pochi e solo in parte – specialmente quelli che cambiano con la scrittura, ma anche di questi solo una minima parte. Ma come? – il lettore obietterà – a me sembra di vedere tutto quello che c’è davanti ai miei occhi.
Il punto è che quello che pensiamo di vedere non è altro che un’immagine che il nostro cervello ha creato, interpolando le (relativamente poche) informazioni che raccoglie. Le neuroscienze e le scienze cognitive hanno elaborato innumerevoli esperimenti per mostrare questi effetti – consiglio al lettore di cercarli, sono meravigliosi. Ma c’è un esempio che trovo particolarmente immediato: i refusi. Quante volte mi è capitato di rileggere uno scritto senza notare l’assenza di un articolo, di un segno di punteggiatura, l’inversione di due lettere. Come ho potuto non vederli? I miei occhi hanno “visto” tutto, ma il mio cervello non ha registrato il testo per come era esattamente, ma ne ha colti solo alcuni segni, interpolando le parti mancanti; ed ha interpolato “aggiungendo” appunto un articolo, una lettera, un segno di punteggiatura che non c’era, perché pensava che fosse lì. Il reale che vedo con il mio cervello non è il reale percepito dai miei sensi. Vedo un reale fantastico.
Se l’immaginazione serve a vedere il presente si dimostra ancora più importante per capire il futuro. Ma non solo il futuro lontano: il futuro immediato.
La palla di neve che sta procedendo verso di me mi colpirà in faccia? Devo scansarmi? Nella casa di un amico dove sto entrando per la prima volta, sono certo che ci sia un pavimento? Devo controllare? Dietro l’angolo che sto per svoltare, troverò un leone? Tutte queste sono domande a cui il nostro cervello deve rispondere in continuazione.
Dobbiamo continuamente costruire una complessa, enorme, stravolgente costruzione della realtà in cui siamo, in cui saremo, in cui potremmo essere. Si tratta di un passaggio essenziale per fare qualunque scelta – per noi umani, primati evoluti, per le mosche, i topi. Questa costruzione immensa, questa fantasia, è chiave della sopravvivenza.
Si tratta chiaramente di una forma terribilmente poco romantica di fantasia; una fantasia quasi “biologica,” ma che è il punto di partenza per qualunque fantasia più astratta. Cominciamo dal vedere che anche questa fantasia “necessaria” non si limita a costruire il reale. Anzi. In alcuni casi questa fantasia è tenuta necessariamente a costruire realtà che non si avvereranno, anche in situazioni semplici. Immaginiamo di avere due offerte di lavoro, una Stoccolma e l’altra a Honolulu. Per scegliere dobbiamo creare un’immagine di come sarà la nostra vita in ciascuno dei due posti. Dobbiamo creare due realtà future, fantastiche: entrambi sono proiezioni; e una delle due, per forza, non si realizzerà.
Il lettore curioso si domanderà naturalmente come queste costruzioni mentali vengano realizzate. Come scegliamo quali parti del testo guardare? Come capiamo se la palla di neve sta per colpirci? Abbiamo un “modello” di cosa può accadere? Come costruiamo un’immagine della nostra vita a Honolulu? Nel disegnare queste realtà, teniamo conto dell’incertezza che abbiamo su come potrebbe essere? Se sì, come la incorporiamo? Queste proiezioni sono influenzate dai nostri desideri, paure, conflitti? Se sì, come? Quanto? E come scegliamo, dato tutto questo? La risposta a queste domande esula dal nostro testo – in primis perché, al momento, le risposte a molte di queste domande ancora non le sappiamo. Ma se ne discute, tantissimo, in psicologia, neuroscienze, economia.
Sulla costruzione fantastica di realtà si fondano chiaramente mille e più elementi del nostro mondo. Dal marketing, che ci vende una realtà diversa, possibile o meno, ad esempio per la nostra immagine, alle religioni, che richiedono qui poca elaborazione, fino alla politica, che ci vende una realtà diversa per il nostro vivere sociale. Ed è su quest’ultimo punto che vorrei soffermarmi. Che cosa vende la politica? (Sì, certo, che “vende.”) Vorrei argomentare che vende sostanzialmente costruzioni fantastiche – anche nei dettagli più semplici. Mi spiego. Da un lato è ovvio: la politica locale che discute se piantare alberi nuovi in un parco ci chiede di immaginare la realtà con e senza gli alberi. E ancora di più un sistema politico che si propone cambiamenti sostanziali o meno – la democrazia diretta, il socialismo, o Trump – ci offre di immaginare una realtà fantastica (e in alcuni casi orribile). La nostra umana tendenza a una costruzione immaginaria del reale, la fantasia, è parte fondamentale di questi processi: dal populismo all’utopia. Ma il problema è forse più profondo, perché riguarda la costruzione stessa di un modo fantastico di vedere la realtà, al di là dei cambiamenti che si vogliono fare: quando un politico racconta che la causa della criminalità sono gli immigrati irregolari, o della povertà lo sfruttamento del lavoro da parte del capitale, ci sta vendendo un modello causale fantastico. Ci sta chiedendo di unirci a lui nel vedere dei rapporti di causa ed effetto, di usare un certo modo di costruire il mondo che per noi è reale. Sta chiedendoci di modificare il modo in cui il nostro cervello, come discutevamo prima, costruisce il presente, il futuro immediato, il futuro possibile. Sta operando sulla nostra fantasia. O meglio, sta chiedendoci di operare con la nostra fantasia per costruire una visione; e di unirci a lui, in una costruzione, di nuovo, fantastica. Ma in questo caso, una visione, una fantasia, collettiva. L’azione del politico è il tentare di vendere o creare una fantasia collettiva e comune: il che è semplice, visto che viviamo costantemente in un mondo creato dalla nostra mente. Oltre che, naturalmente, dal fatto che la nostra mente ha una forte tendenza a cercare pattern predittivi – come un’immensa letteratura ci ha dimostrato – e dunque a cercare modelli e schemi di rappresentazione. Siamo animali che costantemente creano realtà fantastiche e cercano dei modi per farlo. E siamo animali sociali, che trovano conferme nelle azioni altrui. Ed è dunque naturale che costruire questo ci induca a cercare e seguire modelli e rappresentazioni – fantasie – che sono collettive.
Naturalmente questo non vuole essere una visione solo negativa. Anzi l’opposto. Così come possiamo creare una fantasia collettiva in cui le malattie sono portate dai bambini dai capelli rossi; così, è stato solo immaginando delle realtà “possibili” che abbiamo creato le magnifiche realtà “reali” del mondo in cui viviamo. E che creeremo quelle che verranno. Ed è solo con la fantasia più sfrenata che possiamo combattere le fantasie più pericolose. È l’unica arma che abbiamo. L’idea che le malattie non vengono dai bambini con i capelli rossi la combattiamo raccontando che invece vengono da minuscoli organismi, invisibili, alcuni dei quali, i virus, non sono neppure in vita – un’idea, francamente, fantastica.
Scritto da Pietro Ortoleva | @PietroOrtoleva
Torinese di origine, è oggi Professore presso il dipartimento di Economia della Columbia University (New York). Si occupa, tra le altre cose, di teoria delle decisioni, di economia comportamentale, e dello studio dei processi cognitivi nelle scelte economiche e politiche.